Tinin Mantegazza, Giovanni Nadiani e Giampiero Pizzol portano il grande Shakespeare in terra di Romagna.
Tinin Mantegazza, Giovanni Nadiani, Giampiero Pizzol
Giampiero Pizzol, Giampiero Bartolini, Teodoro Bonci del Bene
Angelo Generali
Marco Versari
Commedia
Centro Diego Fabbri – Rosa Spina. Un Teatro – Compagnia Bella
Che dire di Tinin Mantegazza che ha attraversato la cultura italiana dagli anni ’50 in poi come umorista con disegni, vignette, dipinti, come teatrante con la creazione di pupazzi e personaggi, come regista e autore televisivo con programmi, striscie, cartoon e infine come sperimentatore di linguaggi fin dal cabaret ’64 nella Milano di Gaber, Dario Fo, Cochi e Renato ?
Oggi questo poliedrico artista sospeso tra poesia e umorismo, innamorato del mare adriatico e della Romagna, ha deciso di lanciare un’ altra sfida alla cultura teatrale: uno Shakespeare in dialetto romagnolo. E qui il testimone passa a Giovanni Nadiani, pluripremiato poeta e scrittore che trova nel dialetto la fonte ispiratrice di molte sue opere seguendo idealmente la scia di Guerra, Baldini, Pedretti e di altri poeti contemporanei capaci di sposare la lirica alla lingua popolare, ai fatti e misfatti quotidiani e anche alle lingue straniere, in questo caso l’ inglese del Bardo britannico.
Ma passare dal testo alla scena e proporre un’opera capace di parlare anche a coloro che non hanno dimestichezza con il dialetto mescolando sapientemente l’italiano all’anglo-romagnolo, è una impresa che solo un commediante può arrischiare. Così ecco spuntare il mestiere di Giampiero Pizzol, comico di Zelig, attore e autore di personaggi e di commedie popolari che celebrano la Romagna nelle sue più surreali, malinconiche, divertentissime sfaccettature.
Così la tragedia del Re Lear, a detta di molti critici la più possente e compiuta di tutta l’opera di Shakespeare, trova nuovi interpreti e si nutre delle tragicomiche vicende di uno dei tanti anziani solitari, abbandonati dalla famiglia e privati della casa che vivono nei Bar e raccontano di figlie traditrici, di fughe dai ricoveri e di mille altre vicende, reali o surreali, vere o solo immaginate. In tal modo la storia si intreccia con quella della Riviera romagnola attraversata prima dalla guerra e poi dalle orde di turisti, passata dalla miseria alla ricchezza, dalla civiltà tradizionale al consumismo moderno, dalla azienda familiare alle altre attività frenetiche del moderno mondo degli affari.
Questo Re è uno dei tanti piccoli imprenditori romagnoli che ha creato il suo regno di possedimenti: hotel, negozi, ristoranti, appartamenti. Ma il tempo trascorre inesorabilmente e le proprietà passano alle nuove generazioni che hanno un’altra visone del mondo e soprattutto non hanno nessuna intenzione di mantenere in casa un vecchio padre inasprito dall’età e legato a una mentalità sorpassata. Ma il Re non è solo, attorno a lui c’è tutta una corte di personaggi che arricchiscono la fauna teatrale dell’opera e trasformano la tragedia in commedia: l’estro di Giampiero Bartolini dà vita a figure maschili e femminili, a buffoni di corte e avvocati di cause sballate, mentre la verve di Teodoro Bonci del Bene, primo diplomato italiano alla Scuola d’ Arte Drammatica di Mosca, e quindi fresco di classicità, tira le fila della trama shakespeariana della vicenda che si sovrappone teatralmente alla vita. Le musiche originali di Marco Versari contribuiscono a questa alternanza di climi proiettando la vicenda con la velocità del vento attraverso interi secoli di storia, accennando temi e stili e facendo affiorare alla memoria brani conosciuti e rumori di ambienti vissuti oppure scatenando i ritmi dei balli popolari e delle canzoni del dopoguerra anglo romagnolo.
Solo la regia di Angelo Generali, bolognese di provata esperienza ed elaboratore di testi popolari, può imbrigliare dei simili purosangue romagnoli e guidarli al galoppo sulla pista di questo circo della vita e della morte, alternando il delicato equilibrismo sui fili altissimi di Shakespeare con la “clownerie” burlesca che deborda sul pubblico, la malinconia felliniana dei ricordi con il realismo crudo della cronaca, il clima beckettiano con quello elisabettiano, l’ antico col moderno, il liscio con il rock.
Dunque uno spettacolo anglo-romagnolo che giustamente il Centro Diego Fabbri ha voluto in anteprima al Teatro Comunale di Forlì come esempio originale di nuove drammaturgie capaci di dar fuoco alle polveri del teatro e coinvolgere insieme un pubblico di generazioni differenti: giovani e anziani, padri e figli, eredi dei nuovi linguaggi e custodi del patrimonio antico, tradizione e innovazione.
Lo spettacolo si snoda così attraverso una messa in scena surreale dove un autentico Re decaduto della Riviera romagnola rivive la sua lunga storia attraverso litigi con le figlie, temporali improvvisi, porte che si aprono e si chiudono dinnanzi a lui, naufragi ai banconi di Bar improvvisati, scorribande per le strade e le piazze, fino alla follia sul tetto del famoso Hotel Britannia dove si accende l’ira del vecchio Re che conclude la sua odissea sulla spiaggia davanti all’orizzonte infinito del mare. Valzer, tango, musiche felliniane e rintocchi di campanelli, voci di bambini e canzoni popolari accompagnano questo movimentato vagabondaggio sulle assi del palcoscenico, scene di una comicità irrefrenabile dallo schietto sapore popolare si alternano alle drammatiche impennate dei meravigliosi versi shakespeariani, la giostra della vita scorre sotto lo sguardo degli spettatori coinvolgendo occhi e cuore nella piccola vicenda di questo grande Re e facendo assaporare sia a quanti conoscono il dialetto romagnolo, sia a quanti ormai non lo parlano più, la pienezza del linguaggio teatrale capace di comunicare sempre e comunque a tutti.