C’era una volta un re, anzi una regina senza trono, scettro nè corona; non era grande, era una bambina …

Cappuccetto e il lupo
  • Giampiero Pizzol
  • Laura Aguzzoni
  • montaggio audio: Marco versari
  • Cristina Scardovi e Michele Giovanazzi

Una bambina in Palestina duemila anni fa: la storia più piccola e più grande del mondo in una povera casa di contadini tra gli sperduti villaggi della Galilea. Un racconto antico come le favole, eppure vero come il pane, la terra , le stelle, concreto come la lana che filano e tessono le donne, come l’acqua che ancora oggi in tanti paesi si deve andare a prendere al pozzo o alla fontana, una vicenda viva come le colombe, le pecore, gli asini, i fiori, le piante che danno ombra e frutti, allegra come la musica, le danze, i giochi dei bambini fatti con cinque sassi e dei ritagli di tela. Una storia sospesa fra cielo e terra come un’altalena tra i rami di un albero.

La protagonista è una bambina di oggi che rivive quei piccoli avvenimenti semplici e misteriosi. Non c’è finzione teatrale, ma il puro e semplice accadere di episodi della vita quotidiana in cui si affaccia l’Infinito: una stella cadente, una corsa sul prato, una poesia, un regalo di compleanno, un libro aperto sul cuscino, un sogno una ferita, una brocca che si spezza, una strada di parole su cui camminare.

Lo spettacolo non nasce dalla letteratura, ma da un festa. Il teatro spesso ha origine nelle feste. Nel nostro caso si tratta della Natività di Maria Bambina che ogni anno a settembre si festeggia a Bologna. Una festa di bambini fatta di giochi, canzoni, alberi, prati, genitori sudati e indaffarati, amici vicini e lontani, insomma un popolo vivo e colorito. Lo spettacolo è dunque un racconto popolare come quelli che un tempo si rappresentavano nelle piazze d’Europa. Nasce anche grazie all’incontro con le Scuole, con l’Associazione Amici del Pellicano e con il pittore spagnolo Arcadio Lobato che ha dato vita sulla carta alle storie illustrate di Maria Bambina.

Si tratta dunque di una rappresentazione sacra ma fuori dagli schemi e dai libri. Non è forse religioso lo sguardo umano verso il cielo stellato? Si può pregare senza parole, ma semplicemente annaffiando un fiore? Tutta la religione può stare in un pezzo di pane? E non sono sacre le domande che i bambini ci fanno sulla vita?